Il violetto, ultimo colore percebile, ha una frequenza grande come i protozoi. |
Abbiamo già parlato di come l’ametista
sia entrata a far parte del culto popolare sin dai tempi antichi
di Greci e
Romani. La pietra negli anni si ritaglia un ruolo importante in ambito
religioso e non di meno in quello scientifico. Infatti, il violetto è l'ultimo
colore ad alta frequenza visibile dello spettro percepito dall'uomo, cioè
quello con la lunghezza d'onda più corta. I raggi ultravioletti (ultra,
oltre il viola) infatti hanno lunghezza d'onda immediatamente inferiore alla luce
visibile dall'occhio umano, e immediatamente superiore a quella dei raggi X. Proprio
i colori percepiti dall’uomo, la luce e lo spettro elettromagnetico, sono stati
oggetto di studi approfonditi per anni e continuano ad esserlo.
Newton comincia gli esperimenti
sui colori e la luce nel periodo in cui, per sfuggire alla peste, si ritira
nella casa di famiglia in campagna. A quell’epoca si pensava che i colori
fossero un misto di luce e di ombra e che i prismi in qualche modo colorino la
luce. Si procura un prisma triangolare e lo mette attraverso un raggio di sole.
Nei loro esperimenti Cartesio, Hooke e Boyle avevano posto uno schermo vicino
alla faccia del prisma da cui usciva la luce e avevano osservato un miscuglio
di colori. Newton realizza che per ottenere uno spettro ben visibile, deve
allontanare notevolmente lo schermo. Sfrutta tutta l’ampiezza del suo studio,
dalla finestra al muro, per vedere proiettati tutti i colori separati. Ma per
provare che non è il prisma a colorare la luce, Newton mette a punto un
Experimentum Crucis, l’esperimento decisivo. Sul percorso del suo spettro mette
uno schermo in cui ha tagliato un fessura sottile, in modo da far passare solo
il raggio verde. Quindi fa passare questo raggio in un secondo prisma. Se il
prisma colora la luce, allora il raggio verde deve uscirne di colore diverso.
Il raggio invece rimane verde, non modificato dal prisma. Newton così dimostra
che i colori sono le varie componenti della luce che il prisma semplicemente
separa. Facendo passare tutto lo spettro attraverso il secondo prisma messo in
modo opportuno, Newton riesce infatti a ricomporre il fascio di luce bianca.
Nel 1708 viene scientificamente
riconosciuta come una varietà colorata di quarzo. Nel mondo l’ametista si
rinviene soprattutto nelle cavità delle rocce basaltiche del Rio Grande Do Sul,
Goias , Minas Gerais (Brasile) e in Uruguai (Artigas), nelle vene idrotermali
del Messico (Vera Cruz e Guerriero), del Madagascar, in Namibia, nei graniti
degli Urali, in India. Raro in Italia si può trovare in piccoli cristalli
lucentissimi nell’area di Osilo (SS), in rarissime geodi piccole e tondeggianti
nelle vulcaniti di Chiusa vicino a Bressanone, in vecchi esemplari rinvenuti
nel granofiro di Cuasso al Monte (VA) ed in molte altre località ma sempre con
quantitativi minimi ed esemplari legati ad un collezionismo di tipo “regionale”,
come curiosità mineralogica. Affascinanti e rarissimi gli esemplari del
massiccio di Monte Bianco (Mont Dolent, Aguille des ametistes) e quelli
recentemente rinvenuti nelle fessure austriache. Il colore dell’ametista varia
dal viola chiarissimo fino al porpora e il pregio è spesso legato alla maggiore
intensità di colore.
L’ametista si sviluppa da un
quarzo che presenta un tenore di ferro a partire da alcune dozzine fino a 350
ppm (parti per milione). Non
basta però la presenza di ferro a provocare il colore viola in questo quarzo,
si devono infatti verificare determinate condizioni affinché si sviluppi questa
tinta.
Quando un quarzo sta
cristallizzando può accadere che nei fluidi che trasportano la silice siano
presenti degli altri elementi chimici ai quali viene permesso di sostituire
alcuni degli atomi di silicio; in particolare nel nostro caso sono alcuni atomi
di ferro (Fe3+) che vanno a sostituire gli atomi di silicio (Si4+) ma a questo
punto abbiamo ancora un quarzo ialino: per variare il colore ed avere il viola
sono necessarie delle radiazioni, in particolare i raggi gamma, in grado di modificare
lo stato di valenza del ferro che viene ossidato a Fe4+ che forma un centro di
colore viola origine del colore dell’ametista. I centri di colore sono
strutturalmente “irregolarità” del reticolo cristallino in grado di modificare
il regolare attraversamento di una sostanza da parte della luce, quindi
assorbire gli altri “colori” e lasciare “passare” solo il viola. C’è da
aggiungere che nell’ametista i centri di colore sono distribuiti irregolarmente
all’interno di un cristallo, maggiormente concentrati parallelamente al
romboedro principale, ed hanno anche una diversa resistenza agli agenti esterni
quali luce e calore che ne possono modificare l’intensità, è stato provato che
una geode di quarzo ametista brasiliana lasciata per tre anni alla luce diretta
del sole perde completamente il suo colore, altre ametiste di altre località
hanno diverse resistenze alla luce del sole così come al calore; alcune di queste
perdite di colore possono essere restaurate attraverso irraggiamento con raggi
gamma ma più spesso si ottiene il colore affumicato. Il trattamento con il
calore può modificare il colore dal viola al giallo del quarzo citrino al verde
della prasiolite, questo con un semplice riscaldamento entro i 400°C e molto
spesso questo colore è irreversibile. Si è giunti alla conoscenza del
meccanismo originario del colore dell’ametista grazie agli studi volti alla
realizzazione dell’ametista sintetica, la quale si ottiene in presenza di ferro
all’atto della cristallizzazione e successivamente sottoponendo il cristallo ad
una esposizione di radiazioni tra i 2 ed i 6 Mrad che in natura equivalgono
alla permanenza di 60 milioni di anni in una roccia di tipo granitico contenente
minerali di potassio.
Gemme d'ametista con quantità di anni differente di esposizione alla luce (minore in centro). |
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